Il rapporto tra l'uomo e la natura rappresenta l'incipit più profondo e connaturato della storia. L'artista esprime questo desiderio, forse innato, di descrivere, ammirare e dominare ciò che lo circonda attraverso mezzi come la pittura. Osservando un paesaggio di Massimo Turlinelli si nota come ciò che è rappresentato nello spazio pittorico non si rivela totalmente allo spettatore: dietro a quell'immagine, in apparenza reale, chiara e conclusa, sembra ci sia qualcos'altro. In fondo vediamo la campagna nella sua essenzialità: prati verdi, cipressi, pini e cieli infiniti, ma sono anche presenti alcuni elementi che dal punto di vista semiologico sono destabilizzanti. Osservando il tessuto pittorico si nota come il tratto sia dato con forte incisività grazie all'uso della matita policroma, tecnica imperdonabilmente lasciata ai margini dell'arte 'ufficiale'. E' un segno sempre uguale a sè stesso, come un modulo basato sul principio seriale della riproducibilità, le cui radici storiche possono essere individuate nel pointillisme neo-impressionista di Signac e Seurat. Nella fitta trama nessun elemento emerge individualmente, ma fa parte di un sistema segnico che va a formare un'immagine complessa, che acquista senso solo se combinata correttamente. L'impostazione dell'inquadratura trasforma la scena in maniera bidimensionale, frontale: una semplice linea dell'orizzonte stabilisce un confine tra l'esigua terra e l'indefinitezza del cielo, l'unica sostanziale presenza è quella dell'albero verticalmente stagliato: si crea così una rete di geometrismi ortogonali di ispirazione mondriana, quasi un'analisi sopra le righe della spazialità. Le immagini del cipresso e del pino diventano pure icone che producono motivi ripetitivi alla Andy Warhol o segni linguistici ambiguamente magrittiani o ancora oggetti dell'incoscio surrealista. Addirittura nelle più recenti opere di Turlinelli questo soggetto perde la sua iniziale centralità per stabilirsi ai margini del quadro. Il fattore temporale vive la stessa ambiguità: Turlinelli non vuole fermare un istante reale, ma racconta un tempo indeterminatamente eterno, indefinibile. Il taglio dell'immagine esclude obbligatoriamente le ombre, che non sono più necessarie. Anche il colore diviene fattore arbitrario, quasi superfluo: da un intenso colorismo verosimile si passa, indifferentemente e senza perdere nulla del senso e della bellezza dell'opera, al bianco-nero che fa eco alle tecniche incisorie. Tutti questi elementi semiologici hanno un'importanza tale da prevalere sull'immagine vera e propria: nelle ultime opere dell'artista i segni divengono protagonisti assoluti. L'opera di Massimo Turlinelli riutilizza i mezzi propri dell'arte più tradizionale, ovvero 'da cavalletto', recuperando, però, e svecchiando un senso estetico, ormai troppo escluso dalla prassi artistica delle idee concettuali, non fine a sè stesso, ma con un senso analitico rinnovato e innovatore.