Spesso mi è capitato di vedere i lavori di Massimo Turlinelli, e sempre c'era qualcosa che non riuscivo a cogliere fino in fondo. E, più volte mi sono chiesto cosa non riuscivo a capire nei suoi quadri, cosa mi disturbava l'occhio, e, soprattutto, la mente. Eppure tutto sembra semplice, forse fin troppo: "certo che il trapassar dentro è leggiero". I paesaggi privilegiano teorie di alberi, per lo più pini o cipressi, a volte organizzati e quasi in parata, a volte sparsi su un territorio che suggerisce leopardiani spazi infiniti. Immagini talvolta molto rigorose, di un rigore quasi geometrico, da ingegnere; talvolta fantasiose, fiabesche, come inventate, da architetto. Qualcosa, però, continuava a non essermi chiaro. La mia idea del paesaggio è quella toscana e cioè di un paesaggio sapientemente costruito, in cui il contadino ha progettato ed è intervenuto non lasciando niente al caso; ha saputo modificare pian piano nei secoli la campagna, l'ha fatta a sua immagine e somiglianza, non le ha dato tregua, l'ha razionalizzata; ha aggiunto il necessario e tolto "il troppo e 'l vano"; non esiste un tratto di campagna toscana che non abbia almeno una ragion sufficiente della sua sistemazione. La campagna di Turlinelli è in alcuni momenti almeno più lirica, pare suggerire un che di atavico, di ricordato, di suggerito da una memoria infantile. Qualche tempo fa, andando con Massimo nelle Marche. a Fermo, a casa sua, improvvisamente ho capito cosa mi disturbava, cosa c'era di incoerente, di disomogeneo, nei suoi disegni. La contaminatio dei ricordi della sua terra di origine ("Mirava...quinci il mar da lungi, e quindi il monte") con l'osservazione presente della terra di adozione. Massimo Turlinelli scelse di studiare a Firenze, "partendosi" dalla sua regione e dalla sua Fermo, inseguendo quelle suggestioni culturali che non possono mancare ad un amante dell'arte, anche se oggi Firenze s'è un po' attardata in ripensamenti che, forse, le hanno impedito un serio, moderno, sviluppo. L'arte di Turlinelli, quindi, solo così si spiega: nel momento in cui si collegano i ricordi di un paesaggio dell'infanzia e dell'adolescenza con le sensazioni più mature e adulte suggerite dalla realtà strutturata del paesaggio toscano quotidianamente rivisitato. Ma c'è di più. Le sollecitazioni di momenti di grande importanza, troppo spesso negativa, del nostro tempo, hanno costretto l'artista allo scoperto, l'hanno come estratto dal suo mondo di sogno e l'hanno portato alla visione dolorosa di oggi e della nostra storia, a dimostrare l'impossibilità di porsi in un mondo iperuranio, olimpico, atarassico, privo di passioni e di sofferenze. E, perchè no, anche di gioie.